1. IL VIRUS
I Papillomavirus (PVs) sono un gruppo di virus a DNA, specie-specifici, che infettano gli epiteli di diverse specie animali, dai mammiferi ai pesci e appartengono alla famiglia Papillomaviridae, genere Papillomavirus. Sono stati ad oggi descritti più di 200 genotipi di Papillomavirus in grado di infettare l’uomo (HPV – Human Papillomavirus).
Gli HPV hanno un elevato tropismo per i tessuti epiteliali in differenziamento, nei quali sono in grado di indurre proliferazione cellulare che può condurre alla formazione di lesioni benigne della cute (verruche) e delle mucose (condilomi) e, in alcuni casi, di lesioni maligne.
Sulla base di dati epidemiologici, biologici e clinici, lo IARC (International Agency for Research on Cancer) ha classificato gli HPV mucosali ad alto rischio oncogeno (HR-HPV, high-risk HPV) in cancerogeni (Gruppo 1: HPV-16, 18, 31, 33, 35, 39, 45, 51, 52, 56, 58, 59), probabilmente cancerogeni (Gruppo 2A: HPV-68) e possibilmente cancerogeni per l’uomo (Gruppo 2B: HPV-26, 53, 66, 67, 70, 73, 82). HPV-6 e -11, genotipi a basso rischio oncogeno o LR-HPV (low risk HPV), sono stati classificati come non cancerogeni per l’uomo in base alle evidenze attuali (Gruppo 3).
1.2 VIE DI TRASMISSIONE
HPV rappresenta l’infezione sessualmente trasmissibile più frequente a livello mondiale, attraverso un contatto diretto durante rapporti sessuali, vaginali, anali o orali con un individuo infetto, indipendentemente che quest’ultimo manifesti i sintomi o meno. E’ stata inoltre dimostrata una via di auto inoculazione, il trasferimento cioè di HPV dalle mani ai genitali e viceversa.
Trasmissione verticale
Human Papillomavirus può essere trasmesso dalla madre al feto sia a livello intrauterino che durante il parto, sia naturale che tramite taglio cesareo, anche se quest’ultima modalità è stata ritenuta per lungo tempo in grado di proteggere dalla trasmissione perinatale di HPV. Il virus è stato individuato nella cavità orale dei neonati, nel latte materno, nel liquido amniotico, nella placenta e nel sangue del cordone ombelicale.
L’infezione in utero o durante il parto vaginale può portare ad una rara malattia, la papillomatosi respiratoria ricorrente (recurrent respiratory papillomatosis), che colpisce soprattutto i bambini di età 1-4 anni. Tale malattia è associata principalmente ad infezione con i genotipi a basso rischio oncogeno HPV 6 e HPV 11.
1.3 LA MALATTIA
Il virus del papilloma umano (HPV) è la condizione necessaria per l’insorgenza dei tumori della cervice uterina, anche se, per fortuna, non tutte le infezioni di questo tipo danno origine a un cancro. La maggior parte delle infezioni da HPV si risolve infatti spontaneamente, grazie all’eliminazione spontanea del virus da parte del sistema immunitario. In alcuni casi più rari, tuttavia, l’infezione (in particolare da parte di alcuni ceppi virali) può portare allo sviluppo di un cancro. L’HPV è considerato responsabile della quasi totalità dei tumori della cervice uterina, e di una quota in crescita di altri tumori più rari, per esempio all’ano, alla vagina e al tratto oro-faringeo.
1.4 PREVENZIONE PRIMARIA
Uno strumento importantissimo per limitare il rischio di sviluppare un cancro associato all’HPV è la vaccinazione.
I vaccino anti HPV è composto dalle proteine L1, particelli simil-virali associate a sostanze adiuvanti, purificate e prodotte con la tecnica del DNA ricombinante, quindi senza utilizzare il genoma(DNA) del virus
I vaccini anti-HPV sono raccomandati in Italia a partire dal compimento degli 11 anni a maschi e femmine, la somministrazione avviene per via intramuscolare e consiste in due richiami per chi si vaccina prima dei 15 anni, e in tre per chi si vaccina successivamente.
I primi vaccini a partire dal 2007 sono stati di due tipi. Il bivalente era diretto contro i ceppi 16 e 18 del virus, in grado di causare lesioni precancerose e responsabili del 70 per cento circa dei tumori della cervice uterina. Il quadrivalente poteva invece prevenire l’infezione anche dei ceppi 6 e 11, che causano la formazione a livello genitale di condilomi, escrescenze o protuberanze dovute a lesioni di natura benigna della cute o delle mucose.
Dal 2017 è in uso un terzo vaccino, detto nonavalente, che oltre a HPV 6, 11, 16 e 18, assicura la protezione contro altri cinque ceppi capaci di indurre il cancro, prevenendo oltre il 90% delle forme tumorali associate al virus.
1.5 PREVENZIONE SECONDARIA
Lo screening per la prevenzione del carcinoma alla cervice uterina viene effettuato su un prelievo di una piccola quantità di cellule del collo dell’utero, eseguito strofinando un apposito spazzolino endocervicale. I test impiegati nello screening sono il Pap-test, offerto ogni 3 anni alle donne di età compresa tra i 25 e i 30 anni e l’HPV-DNA test, offerto alle donne tra i 30 e i 64 anni ogni 5 anni.
L’HPV-DNA test è dotato di maggiore sensibilità rispetto al Pap-test e risulta più efficace nella prevenzione del cervico-carcinoma, in quanto rileva l’infezione piuttosto che le conseguenze dell’infezione. Se l’HPV-DNA test dà esito positivo, la donna dovrà sottoporsi a test citologico di triage, in grado di evidenziare la presenza di alterazioni cellulari che necessitano di ulteriori accertamenti (colposcopia); se l’esito del test citologico è invece normale, è prevista la ripetizione del test HPV dopo 1 anno.
Nelle donne più giovani l’HPV-DNA test non è indicato ed il test di riferimento rimane il Pap test. Questo perchè in giovane età la probabilità di contrarre una infezione da HPV è molto elevata, ma ha spesso carattere transitorio senza assumere rilevanza clinica. Lo screening primario con HPV-DNA test porterebbe a sovra-diagnosi di CIN2, in grado di regredire spontaneamente, con conseguente rischio di sovra-trattamento. Per analogo motivo non è indicato eseguire il Pap-test prima dei 25 anni.